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Se i professionali si regionalizzano. Oppure no

Il disegno di legge di revisione della legge sui cicli non e’ esplicito in materia ma tutto lascia intendere che la gestione degli attuali istituti professionali verra’ passata alle Regioni, che gestiranno in esclusiva in tal modo istruzione e formazione
professionale.

L’operazione era stata tentata dal precedente Governo
dell’Ulivo, che nel testo iniziale del decreto legislativo 112/1998 aveva avanzato tale previsione di trasferimento totale degli istituti professionali alla competenza delle regioni, ma, per una serie di
ostacoli politici e sindacali, aveva dovuto accontentarsi del solo trasferimento dei pochi istituti professionali che avevano corsi di durata non quinquennale (art. 141 decreto legislativo 112/98).

Oggi gli istituti professionali statali sono 482, organizzati in 14 tipologie, di cui quelli per l’industria e l’artigianato (IPSIA) rappresentano con 193 istituti quasi il 40 per cento del totale, seguiti dagli alberghieri e ristorazione con 100. Come gli istituti tecnici, i professionali, oltre alla sede principale dell’istituzione, hanno una notevole quantita’ di sezioni staccate sul territorio (782).

I professionali sono in crescita di iscrizioni e dovrebbero superare i 600 mila studenti dal prossimo anno
scolastico (quasi il 23% degli studenti italiani di secondaria).

Veneto ed Emilia-Romagna sono le regioni con il piu’ alto tasso di iscritti ad istituti professionali (tra il 25 e il 26%), Abruzzo e Molise con il piu’ basso (14-15%).

La questione piu’ problematica in caso di passaggio dallo Stato alle Regioni sarebbe rappresentata dal personale statale attualmente titolare negli istituti professionali: quasi 49 mila docenti, poco meno di 500 capi d’istituto e diverse migliaia di personale Ata.

Alcune Regioni si mostrano pronte a rilevare questa complessa eredita’, ma molte altre non lo sono sicuramente.

Peraltro, non e’ affatto detto che gli attuali Istituti professionali e il loro personale accettino passivamente di essere trasferiti alle Regioni: in molti casi essi potrebbero chiedere di essere accorpati con gli Istituti tecnici di indirizzo affine, costituendone una
variante curricolare piu’ orientata verso la formazione tecnica superiore e il lavoro. Il tal caso il “secondo canale” di formazione professionale, affidato alle Regioni, nascerebbe assai gracile.

Tratto da lunedì 14 gennaio 2002



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