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Pubblica amministrazione, pubblica licenza

Pubblicato su MediaMente

Il Senato discuterà un disegno di legge per il pluralismo informatico e la diffusione del software libero nella P.A.
“Articolo 1: lo Stato favorisce il pluralismo informatico” e “la diffusione e lo sviluppo del software libero… in considerazione delle sue positive ricadute sull’economia pubblica, sulla concorrenza e la trasparenza del mercato, sullo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica”.

Inizia così il testo del disegno di legge Norme in materia di pluralismo informatico, sulla adozione e la diffusione del software libero e sulla portabilità dei documenti informatici nella pubblica amministrazione presentato recentemente dal senatore dei Verdi Fiorello Cortiana.

La proposta di legge nasce dalla premessa che “dalle attuali indicazioni di mercato è legittimo ritenere che quasi tutti i computer funzioneranno con lo stesso sistema operativo (Windows o qualche successore) di proprietà di una sola azienda, tra l’altro non europea”, del quale “non sarà possibile sapere esattamente cosa farà e come (per mancata messa a disposizione del codice sorgente)”. Se tale scenario è “inquietante per l’utente casalingo”, lo è tanto più per l’amministrazione pubblica. Tuttavia, secondo i promotori dell’iniziativa legislativa, un’alternativa esiste ed è il software libero, quello, cioè, il cui codice sorgente è disponibile per essere usato, esaminato, distribuito e modificato.

Il progetto prevede, dunque, che la pubblica amministrazione sia “tenuta ad utilizzare, nella propria attività, programmi per elaboratore elettronico dei quali detenga il codice sorgente” e che, nel caso in cui, invece, “intenda avvalersi di un software non libero”, debba “motivare analiticamente la ragione della scelta”. Prevede, inoltre, che “della eventuale maggior spesa derivante da una scelta in senso contrario non appropriata, risponde patrimonialmente il responsabilmente del procedimento”. Pur essendo evidenti le valutazioni economiche della preferenza per l’open source, emerge chiaramente che questo aspetto, per quanto importante, non è prioritario: la disponibilità del codice sorgente, infatti, è posta soprattutto in relazione “all’opportunità per la pubblica amministrazione di poter modificare i programmi in modo da poterli adattare alle proprie esigenze”.

Il punto cruciale è, dunque, quello dell’indipendenza dell’amministrazione pubblica dai fornitori di tecnologie. Con la progressiva informatizzazione, infatti, tutti i nostri dati vengono archiviati elettronicamente. Si pone, dunque, il problema di chi controlla le tecnologie e, quindi, le informazioni. È giusto che l’industria dominante, che produce un sistema operativo proprietario, abbia accesso alle informazioni che ci riguardano?

A tale questione il disegno di legge risponde con delle disposizioni sulla gestione dei dati personali o relativi alla pubblica sicurezza a garanzia dei cittadini: “chiunque effettui la trattazione dei dati personali mediante l’ausilio dei mezzi elettronici è tenuto, in questa attività, a utilizzare programmi per elaboratore a sorgente aperto” e a conservare i codici sorgenti “per permettere future verifiche riguardo il controllo degli standard di sicurezza”.

Georgia Garritano

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