IDD 2003: e dopo il convegno? (Seconda parte)

IDD 2003: e dopo il convegno? (Seconda parte)
di Giorgio Tartara

La seconda delle riflessioni scaturite da IDD 2003, che è stato anche un momento di incontro e di chiarificazione della situazione nell’impiego delle TIC nella didattica con alunni disabili, trae origine dalla bella sintesi di Rodolfo Marchisio relativamente alle esperienze segnalate da scuole piemontesi su invito del gruppo di ricerca IRRE.
Questo gruppo, costituito dai colleghi: Angela Berutti, Marco Guastavigna, Rodolfo Marchisio, Oscar Perino, Luciano Rosso, che ho coordinato nei mesi precedenti al convegno si è proposto di offrire spunti di discussione sulla base delle esperienze maturate in questi anni attorno al tema indicato.


IDD 2003: e dopo il convegno? (Seconda parte)
Giorgio Tartara (giorgio.tartara@tin.it)
 
La seconda delle riflessioni scaturite da IDD 2003, che è stato anche un momento di incontro e di chiarificazione della situazione nell’impiego delle TIC nella didattica con alunni disabili, trae origine dalla bella sintesi di Rodolfo Marchisio relativamente alle esperienze segnalate da scuole piemontesi su invito del gruppo di ricerca IRRE.
Questo gruppo, costituito dai colleghi: Angela Berutti, Marco Guastavigna, Rodolfo Marchisio, Oscar Perino,  Luciano Rosso, che ho coordinato nei mesi precedenti al convegno si è proposto di offrire spunti di discussione sulla base delle esperienze maturate in questi anni attorno al tema indicato.
In attesa che siano integralmente disponibili sul web riporto ampi stralci delle riflessioni del collega Marchisio.
 
Il gruppo di ricerca dell’IRRE (Berutti, Guastavigna, Marchisio, Perino, Rosso) coordinato da G. Tartara, ha invitato le scuole piemontesi a presentare, in occasione del Convegno IDD 2003, esperienze significative di uso delle TIC con allievi disabili.
 Le esperienze significative sono pubblicate agli atti e sono state presentate durante il convegno.
La presente sintesi dà conto di quanto censito ed invita a riflettere sui risultati di questo sondaggio.
 
La nostra indagine si è indirizzata alle scuole della regione Piemonte di ogni ordine e grado; naturalmente è probabile che non sia stato possibile raggiungere tutte le scuole e molte hanno letto la comunicazione in ritardo e in effetti nella versione su Web vi sarà qualche esperienza in più rispetto a quelle pubblicate sul CD-ROM degli atti.
Da questa esperienza sorgono però interrogativi che, non certo per amore di polemica, non è possibile tacere:
–          È normale che un numero molto alto di caselle ufficiali di una scuola respingano i messaggi in quanto “full”? Mi riferisco per lo più a caselle della RUPAR e quindi richieste dalle scuole in questione al momento dell’adesione alla stessa, in più sono caselle relativamente recenti e fanno parte dell’elenco istituzionalmente dedicato al dialogo con le Istituzioni Scolastiche.
–          È normale che le notifiche di lettura in molti casi mi siano giunte con grande ritardo? Numerose anche dopo più di un mese e alcune mi stanno giungendo ancora mentre scrivo queste mie osservazioni, a convegno terminato.
In sostanza: in scuole in cui, nel corso di questi ultimi cinque-sei anni, sono state investite ingentissime risorse finanziarie e di formazione, in un momento in cui anche l’idraulico dell’angolo avverte l’esigenza di essere presente sul web, di fornire un ulteriore canale di comunicazione alternativo e complementare a quello fisico e a quello telefonico, rimane ancora una palese noncuranza verso la comunicazione con l’esterno. Noncuranza tanto più irritante in quanto il difetto non sta in mancate risposte, bensì in mancata lettura dei messaggi. Ognuno è libero di non rispondere, ma è strano che non ritiri la posta. Sappiamo tutti che molte volte si ricevono messaggi inutili e/o ripetuti, spamming (quasi inesistente però nelle caselle RUPAR), eccetera, esattamente come avviene nel mondo reale quando alla sera la buca delle lettere contiene tre quarti di pubblicità e poche comunicazioni interessanti;  non per questo però evitiamo di svuotarla.
A mio parere si è trasferito sulla comunicazione in digitale l’atteggiamento di noia con cui spesso, anni fa, venivano ricevute le circolari cartacee e tutte le altre comunicazioni che personaggi più o meno interessanti fanno pervenire alle scuole. Il cartaceo, data la sua fisicità, veniva protocollato e smistato, magari con commenti poco lusinghieri ma non era e non è possibile non prenderne atto. Il digitale richiede evidentemente una maggior consapevolezza nel suo uso giacché non si viene “violentati” dalla presenza fisica del postino e si deve “agire” in prima persona per visualizzare i messaggi.
Esagero? Può darsi, ma sarebbe più lusinghiero attribuire questo così evidente problema all’incapacità di usare la posta elettronica?
 
Più oltre Marchisio rileva come
Ci sembra di poter registrare
  • Una attività ed una motivazione in calo in confronto, ad esempio, a quanto emerso al convegno IDD di Torino di 10 anni fa
  • Una generale sottovalutazione delle possibilità di un uso delle TIC più diffuso, soprattutto con casi meno gravi e una polarizzazione delle risorse verso casi problematici o perché più “interessanti” e quindi in qualche modo “motivanti” o perché i docenti hanno più urgenza di cercare una soluzione nelle TIC.
  • Ci sono indubbiamente poli con esperienze interessanti
–          su progetti generali (che coinvolgono spesso anche Enti esterni e territorio)
–          su progetti scolastici (non molti) che hanno una prospettiva di continuità
–          su singoli casi
Le schede di progetto e le sessioni di presentazione ne danno ampiamente conto.
  • C’è in genere un  interesse potenziale “passivo”, una sorta di “bisogno”: molte scuole chiedono di partecipare al convegno, di essere informate, ma ritengono di non avere nulla di significativo da segnalare
 
Effettivamente un terzo circa delle risposte ricevute dichiara il desiderio di essere informati sull’argomento e di non aver esperienze da “raccontare” esattamente per i motivi elencati prima. Si badi bene che il numero complessivo di risposte ricevute è stato molto esiguo rispetto a quello delle scuole contattate e quindi pur non potendo portare dei risultati quantitativamente rilevanti, nelle discussioni all’interno del nostro gruppo di ricerca, gli interrogativi sono stati quelli già più volte enunciati.
 
Viene da domandarsi allora se l’uso delle TIC nel lavoro con disabili non sia stato anche un po’ una moda, più che una consapevolezza, oggi parzialmente accantonata.
Si può ipotizzare, anche in scuole che hanno molto lavorato su queste tematiche, che, passata l’epoca dei pionieri, sia subentrato un senso di “appagamento” (“stiamo comunque facendo bene”) nei “vecchi” docenti  e, insieme, di insicurezza, specie rispetto all’uso delle TIC e specie in alcuni nuovi docenti. Che spesso sanno usare le TIC (magari a casa), ma non in modo finalizzato.
 
L’impressione è anche, a parer mio, che non si sia operato quel salto di qualità che porta dalla sperimentazione alla creazione di un sistema strutturato. Certamente vi sono molte motivazioni a parziale giustificazione di questa “non evoluzione”, ad esempio i tempi lunghi per individuare e acquistare gli ausili. Molti docenti che hanno preso parte alla fase pionieristica ricorderanno che talora quella certa strumentazione indispensabile per “Pierino” diventava patrimonio della scuola quando il soggetto interessato stava per abbandonarla, oppure non si riuscivano ad avere diagnosi precise sulle possibilità di impiego di un determinato software e si perdeva tempo prezioso a rincorrere elementi di conoscenza prima e finanziamenti economici dopo… e si potrebbe certo stilare elenchi molto lunghi di malfunzionamenti demotivanti e avvilenti.
Si possono anche ricordare i disagi da sempre provocati dal ricambio degli insegnanti di sostegno che spesso sono stati e, sia pur in minor misura, ancora sono uno degli elementi poco stabili dell’organico di una scuola, e il fatto che la stragrande maggioranza di loro non riceva alcuna formazione relativamente all’impiego delle TIC (neppure nei corsi di specializzazione).
Tuttavia l’impressione che in questo periodo di cambiamenti turbinosi e, a parer mio, non sempre positivi, l’effettivo impiego di adeguati strumenti informatici per gli alunni in situazione di maggior disagio sia ben lontano dal divenire una prassi consolidata resta. Anche alcune risposte delle scuole che hanno dichiarato di non avere esperienze degne di essere presentate pubblicamente, sembrano rilevare che non si è passati dall’eccezionalità alla pratica quotidiana. Al riguardo forse è anche fuorviante una delle tante mode consolidatesi in questi tempi, quella delle “best practices” che diventano castranti rispetto a tutto ciò che non sembra fare eccellenza. Sono sempre stato piuttosto restio a usare queste terminologie anglofone e un po’ elitarie e non solo per la mia cronica ignoranza relativamente alla lingua straniera, ma soprattutto perché ho spesso la sensazione che insistere sull’eccellenza porti come corollario il disprezzo per la modestia e la quotidianità. Le scuole, l’ho anche sottolineato nella mia relazione a IDD “Esplorazioni consapevoli”, non hanno bisogno di gareggiare per conquistarsi piccoli spazi di eccellenza; una scuola che voglia davvero mirare all’eccellenza deve tendere a ottenere i migliori dei risultati potenzialmente possibili, per tutte le sue componenti, nella normalità, nella pratica quotidiana, nel far progredire per tutti i docenti l’uso consapevole delle tecnologie, nell’erigere a sistema affrontare l’ampia casistica di alunni che passano nelle nostre classi con un progetto che non sia sporadico, ma appunto sistematico e pertanto quasi di routine all’interno della programmazione.
Non credo sia davvero utile dedicarsi agli effetti speciali, si devono imparare efficaci quanto quotidiane strategie di intervento per tutti gli alunni per ottenere la crescita delle loro potenzialità e in questo compito non conta nemmeno il livello di handicap giacché mi sento di concludere in pieno accordo con Rodolfo Marchisio
 
Posto che:
a) non esistono disabili che non abbiano margini di miglioramento
b) non sono le TIC di per sé che sostituiscono mancanza di idee, capacità progettuale, organizzativa o motivazione
c) esiste comunque, ormai una documentazione ed una riflessione ampia e solida sulla utilità dell’uso delle TIC nel lavoro con allievi disabili in certe condizioni (cfr. anche atti precedenti convegni IDD)
la sensazione finale è, facendo salvi progetti strutturati e significativi (quelli documentati agli atti), che spesso un progetto nasca intorno ad un disabile (il che è assolutamente giusto), qualche volta intorno a uno o più docenti, più raramente intorno ad un problema e ad una idea generale e che l’esperienza finisca con la permanenza di “quel” disabile e di “quei” docenti, in un certo contesto (tipo di scuola, gruppo o rete di docenti e operatori ecc…).
Possiamo domandarci:
  1. quanto serva “a posteriori” (nel suo progetto di vita) al disabile questo modo di funzionare e
  2.  che cosa si possa fare di meglio.
 
L’augurio che faccio a tutti noi del mondo della scuola è che anche attraverso il confronto su queste come su altre pagine in cui si dibatte il problema, si riesca davvero a fare di meglio; certamente ce n’è bisogno.

Di giorgio