A Torino più di 500 persone hanno seguito il 26 e 27 marzo scorso, il dibattito sulla scuola del futuro nella sede dell’Arsenale della Pace. Norberto Bottani, su incarico della Fondazione Scuola della Compagnia di San Paolo, è il referente scientifico del Convegno e lo presenta così: “L’istituzione scolastica, che è rimasta immutata per secoli, sembra essere entrata in una fase molto tormentata di trasformazioni accelerate.” Fattori del cambiamento, anzi della “svolta epistemica” sono i progressi delle scienze cognitive e della psicologia genetica, unite alla tecnologie e all’avvento delle nuove generazioni, i cosiddetti “digital natives”.
Gli interventi che si sono susseguiti hanno fornito stimoli e opinioni controverse nel pubblico. Sono stati affrontati temi quali la storia della psicologia dell’apprendimento per evidenziare che manca la ricerca sulla psicologia dell’insegnamento, sulla tecnologia come supporto ai processi di auto organizzazione dell’apprendimento, soprattutto per abbattere i costi in contesti di “lontananza” geografica, sociale ed economica; su come le tecnologie possono contribuire a ribaltare il rapporto scuola-casa (studiando da soli e facendo i compiti/verifiche/test a scuola-insieme ad altri), sulle nuove professionalità che servono per usare le tecnologie nella scuola, sulla necessità di una teoria unificata dell’apprendimento (per collocare la dimensione socio-culturale dell’apprendimento sul web).
Nella seconda giornata, il prof George Louis Baron, ha detto alcune cose facilmente osservabili, anche se ha sottolineato che mancano dati quantitativi convincenti: gli studenti (di oggi) usano molto le tecnologie, in modo ingenuo e non corrispondente alle aspettative degli adulti (genitori e insegnanti) e hanno difficoltà di concettualizzazione, cosa che l’ex ministro Lombardi ha sintetizzato in “perdono tempo”. Baron ha presentato due scenari possibili per la scuola del futuro: nel primo i cambiamenti saranno piccoli (pochi incentivi dal pubblio, aumento della frattura fra scuola e società e aumento delle differenze sociali) e nell’altro il rinnovamento sarà limitato (investimenti regionali tramite partneriati, sarà valorizzato il ruolo degli insegnanti). Ludovico Albert della Regione Piemonte, ha insistito sul tema decentralizzazione e ha parlato degli investimenti infrastrutturali, oltre che della necessità che la ricerca scientifica sia orientata dai valori (per il Piemonte nella fattispecie ha citato il progetto di risparmio energetico).
In chiusura la tavola rotonda, in cui Mezzalama (politecnico di Torino) ha ricordato come le innovazioni siano distruttive (l’ingresso dei robot in fabbrica e la conseguente crisi occupazionale degli operai); Paolo Ferri ha insistito sull’importanza del “setting formativo” dicendo che le aule sono uguali da un secolo a questa parte (Papert lo diceva già tempo fa nel suo libro “I bambini e il computer); Biondi fresco di nomina ministeriale ha ripetuto che bisogna “fare” e ha sostenuto che lui non crede nell’ora di informatica né nella Patente del computer per gli insegnanti e ha anticipato che ci sarà una “call” per la sperimentazione di 200 classi su nuove modalità di apprendimento. Francesco Pedrò, intervento più interessante a mio avviso, ha sostenuto che ogni studente ha un approccio diverso alla tecnologia e che l’introduzione delle tecnologie può accentuare le differenze sociali.
In generale si è parlato poco di come sarà la scuola del 2020, a parte per quanto riguarda le tecnologie: abbiamo visto che a scuola ci si annoia, che sarebbe forse utile ci fosse più arte e più sport, meno “parole” e più “laboratori “, che i ragazzi preferiscono lavorare in gruppo e la risposta forse non è solo nelle aule “a soffietto”. Si è parlato degli insegnanti come “problema” della scuola e della crisi del loro ruolo, della necessità di formarli (ma su cosa? ancora sull’uso delle tecnologie?), dell’importanza di trovare soldi per la scuola se davvero si vuole la si vuole cambiare.