La Robotica è l’indirizzo di studi mancato delle scuole superiori: venti anni di sperimentazioni, progetti collaborazioni importanti tra MIUR, CNR, Università e aziende del settore non ci hanno lasciato un vero corso di studi, ma solo delle curvature. In compenso non sono mancati approfondimenti, sympósion, seminari e convegni su tutti gli aspetti della robotica tra cui – forse i più ambiziosi – quelli sull’ETICA dei ROBOT.
La RoboEtica è l’etica applicata alla robotica, l’etica degli umani – e non dei robot – che progettano, costruiscono e usano i robot. I robot e l’intelligenza artificiale devono essere “buoni” e il punto di partenza sono le leggi fondamentali sulla robotica di Isaac Asimov:
1. Un robot non può recare danno a un essere umano, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva un danno.
2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché tale autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.
Oggi i droni più sofisticati sono, invece, macchine da guerra che ignorano – c’era da aspettarselo? – la prima legge della robotica. La vicenda del missile USA lanciato da un drone che ha colpito e incenerito il convoglio di due vetture che scortavano il capo delle Forze speciali iraniane Qassem Soleimani è un avvenimento che probabilmente finirà nei libri di storia. A bordo delle auto c’erano otto persone, tutte morte all’istante, incluso il comandante Abu Mahdi al Mohandis, la seconda autorità del Paese per la sicurezza nazionale.
Ma perché questo evento potrebbe cambiare la storia? Non è la prima volta che un robot uccide delle persone: gli stessi missili balistici, cruise e teleguidati sono di fatto dei robot e da anni fanno stragi qua e là nelle zone di guerra. La novità è nella precisione: d’ora in poi a saltare in aria potrebbero non essere più i civili o la fanteria ma direttamente i vertici delle forze armate!
La precisione e l’invisibilità dei moderni droni cambia totalmente le prospettive di guerra: da oggi nessun comandante o condottiero può sentirsi al sicuro e, per difendersi, interi reggimenti di soldati non servono a un granché.
Negli ultimi secoli della nostra bellicosa umanità, a morire in quantità intollerabile erano sempre i soldati semplici, le truppe di terra, una moltitudine di ragazzi che veniva mandata al macello al fronte. Le perdite umane erano solo un aspetto della strategia di guerra, ampiamente prevista e calcolata da generali, comandanti e condottieri, che raramente rischiavano qualcosa, se non l’onta della sconfitta.
Fino alla prima guerra mondiale per nobili e militari la guerra era quasi un “gioco” combattuto con le vite insignificanti dei ragazzi delle campagne. I regnanti si scrivevano lettere con tono amichevole e confidenziale per combinare alleanze, erano spesso amici e parenti e comunque giocavano alla guerra. Con questi giochi di guerra milioni di ragazzi giovani morivano, tra stenti indicibili. A questi morti, mandati in guerra in nome dell’onore e della coerenza, si aggiungevano le moltitudini di civili che saltavano in aria con i bombardamenti e morivano di stenti nelle città assediate.
Oggi la guerra potrebbe trasformarsi in un “videogioco” a realtà aumentata, combattuto da droni – senza anima – dove a morire sono solo più gli alti ufficiali. Se il generale è il primo a saltare in aria, la fanteria è quasi inutile. In qualche modo è una rivoluzione etica, sicuramente storica.
La guerra delle campane di Gianni Rodari
C’era una volta una guerra, una grande e terribile guerra, che faceva morire molti soldati da una parte e dall’altra. Noi stavamo di qua e i nostri nemici stavano di là, e ci sparavano addosso giorno e notte, ma la guerra era tanto lunga che a un certo punto ci venne a mancare il bronzo per i cannoni, non avevamo più ferro per le baionette, eccetera.
Il nostro comandante, lo Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone, ordinò di tirar giù tutte le campane dai campanili e di fonderle tutte insieme per fabbricare un grossissimo cannone: uno solo, ma grosso abbastanza da vincere tutta la guerra con un sol colpo.
A sollevare quel cannone ci vollero centomila grù; per trasportarlo al fronte ci vollero novantasette treni. Lo Stragenerale si fregava le mani per la contentezza e diceva: “Quando il mio cannone sparerà i nemici scapperanno fin sulla luna”.
Ecco il gran momento. Il cannonissimo era puntato sui nemici. Noi ci eravamo riempiti le orecchie di ovatta, perchè il frastuono poteva romperci i timpani e la tromba di Eustachio.
Lo Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone ordinò: “Fuoco!”
Un artigliere premette un pulsante. E d’improvviso, da un capo all’altro del fronte, si udì un gigantesco scampanio: Din! Don! Dan!
Noi ci levammo l’ovatta dalle orecchie per sentir meglio.
“Din! Don! Dan!, tuonava il cannonissimo. E centomila echi ripetevano per monti e per valli:
“Din! Don! Dan!
“Fuoco!” gridò lo Stragenerale per la seconda volta: “Fuoco, perbacco!”
L’artigliere premette nuovamente il pulsante e di nuovo un festoso concerto di campane si diffuse di trincea in tricea. Pareva che suonassero insieme tutte le campane della nostro patria. Lo Stragenerale si strappava i capelli per la rabbia e continuò a strapparseli fin che gliene rimase uno solo.
Poi ci fu un momento di silenzio. Ed ecco che dall’altra parte del fronte, come per un segnale, rispose un allegro, assordante: Din! Don! Dan!
Perchè dovete sapere che anche il comandate dei nemici, il Mortesciallo Von Bombonen Sparonen Pestrafrakasson, aveva avuto l’idea di fabbricare un connonissimo con le campane del suo paese!
Din! Dan! Tuonava adesso il nostro cannone.
Don! Rispondeva quello dei nemici. E i soldati dei due eserciti balzavano dalle trincee, si correvano incontro, ballavano e gridavano: “Le campane, le campane! E’ festa! E’ scoppiata la pace!”.
Lo Stragenerale e il Mortesciallo salirono sulle loro automobili e corsero lontano, e consumarono tutta la benzina, ma il suono delle campane li inseguiva ancora.