Proviamo a fare il punto sul progetto che vuole cambiare la scuola
In questi giorni si sente parlare spesso di scuola 4.0, progetto di innovazione finanziato dal PNRR.
La trattazione e l’analisi del Piano Scuola 4.0 sarebbero ampia e richiederebbero un’analisi approfondita; non è questa la sede per farlo nel dettaglio (chi volesse leggere tutto il progetto, può cliccare qui).
In questo articolo mi voglio soffermare sulla sostanza del progetto. A tal proposito, nel mondo social, si sente parlare non solo di innovazione, ma nahce di cambiamento o di digitalizzazione. Attenzione, però: questi termini non sono affatto sinonimi.
Il progetto Scuola 4.0 richiede la realizzazione di “ecosistemi digitali”, puntando l’attenzione sugli ambienti di apprendimento e cercando di valorizzarli come spazi del sapere. Certamente, si parla anche di “digitale”, ma il focus non è affatto sugli strumenti, bensì sui contesti.
Tutti noi conosciamo il valore intrinseco di uno spazio: basti pensare a quanta cura dedichiamo ad arredare la nostra casa. Perché – però – non impieghiamo la stessa energia anche all’ambiente scolastico, dove i ragazzi trascorrono (almeno) 5/6 ore della loro giornata?
Chi tra noi è docente conosce bene la realtà: l’edilizia scolastica, negli ultimi anni, non è certo stata al primo posto nelle azioni dei decisori politici. Gli ambienti sono spesso mediocri, per non dire di peggio; eppure sappiamo che lo spazio esteriore stimola sensazioni interiori e cambia l’approccio al lavoro e allo studio (dei docenti come degli alunni).
Anni fa, nel bando del Miur Atelier creativi, all’allegato 1 (consultabile qui), si parlava di tecnologie come “tappeto digitale”: una definizione significativa. Le tecnologie non costituiscono il focus (l’obiettivo) del nostro fare scuola, ma sono uno strumento a servizio della didattica, sono necessarie per fare scuola nel contesto contemporaneo, ma restano un supporto.
Come sostiene la ricerca sulle evidenze (EBL), i dispositivi digitali non sono fondamentali per gli apprendimenti, in quanto utilizzare le ICT per fare didattica non comporta in modo significativo un apprendimento aumentato, fatta esclusione per i video interattivi (cfr Hattie, Apprendimento visibile, insegnamento efficace, Erikson, 2016).
E quindi; qual è il senso del “digitale” a scuola? Perché tutta questa attenzione?
La risposta è semplice: il “digitale” permea la realtà in cui viviamo, motivo per cui -se è vero che l’educazione serve per “introdurre alla realtà totale” (cfr. Giussani, Il rischio educativo, Rizzoli, 2005) – non si può fare a meno di utilizzare, sperimentare, riflettere SUL e CON il “digitale”. Fare il contrario significherebbe escludere i ragazzi da una parte di mondo; parafrasando Don Milani, “se i ragazzi non impareranno a scuola a gestire il “digitale”, in quale altro luogo potranno impararlo?”. La scuola si presta a questa educazione al “digitale” non soltanto in termini di learning about, ma anche attraverso lo sviluppo di abilità che richiedono altre competenze non digitali (dalla lettura alla scrittura, alle attività pratiche, ai laboratori di manualità fine, e così via.).
Le tecnologie, dunque, sono a servizio dell’educazione e fanno parte del contesto educativo: questo l’obiettivo primario, credo, della scuola 4.0. Scuola 4.0 non significa solo scuola digitale, ma scuola del futuro.
Mi è capitato di sentire alcuni docenti, stremati dai vari bandi che si sono susseguiti in questi anni a scuola, dire “Che cosa possiamo comprare con questo finanziamento? Perché ulteriori dispositivi digitali, quando la vita dei nostri ragazzi ne è fin troppo piena? Non abbiamo già fin troppa tecnologia-digitale nella nostra didattica?”
Credo che la domanda sia viziata nella sua formulazione. Non si tratta di capire (SOLO) che acquisti fare, ma di fermarsi per fare una riflessione di SENSO. Nella scuola di cui faccio parte ci siamo confrontati su un’altra domanda: QUALE SCUOLA DESIDERIAMO? Cioè: se avessimo la possibilità di decidere dove investire i fondi della nostra scuola, in quali aree vorremmo fosse fatto? Abbiamo insomma parlato di PROGETTAZIONE CONDIVISA.
La chiave per intendere questo progetto e per riuscire a realizzarlo non sta nella tecnologia che acquistiamo, né tantomeno negli arredi, ma è data dalla direzione che vogliamo dare alla scuola per l’oggi e per il futuro prossimo.
L’ambiente è, come abbiamo detto, una parte costitutiva del nostro essere scuola, fa parte del nostro sistema di apprendimento e può essere stimolante o meno: come fare per renderlo generativo?
Altra domanda sottostante a questo progetto: come poterlo attualizzare, metterlo in pratica? Come sappiamo, non è sufficiente acquistare attrezzatura (o arredi) per innovare gli spazi o per generare cambiamento: sono invece le modalità di utilizzo a fare la differenza (verrebbe da dire: occorre cambiare l’approccio mentale al problema).
Come fare affinché il cambiamento si inneschi? Se chiediamo aiuto alla scienza delle organizzazioni, essa ci dice che ciò avviene solo se agiamo sui singoli fattori: saranno loro a portare il cambiamento con una reazione a catena. Se ciò è vero (Cfr P. Senge, La quinta disciplina, Sperling & Kupfer, 1992), dobbiamo necessariamente partire dagli attori che possono portare un cambiamento: in questo caso i docenti.
Occorre progettare con TUTTI i docenti e per farlo si può ricorrere alle strategie di GAME STORMING, un metodo collaborativo che – attraverso giochi e attività – aiuta a generare idee e soluzioni creative in un ambiente divertente e informale.
Spesso, tra docenti, si parla di utilizzare le strategia del problem solving e del problem posing con i propri alunni; perché non utilizzarla anche tra insegnanti? Nei contesti aziendali, il game storming viene impiegato per risolvere problemi complessi e per migliorare la comunicazione e la collaborazione all’interno del team.
Il consiglio è di provare ad utilizzare questa tecnica anche a scuola tra docenti, ovvero in un gruppo di professionisti che deve operare un cambiamento per raggiungere un risultato tangibile e verificabile.
Nella scuola dove insegno questa strategia è stata testata proprio in relazione a questo specifico progetto e i risultati sono stati strabilianti: molte idee sulle quali lavorare e riflettere, non solo per questo progetto, ma su tutti i progetti futuri.
Ultimo aspetto: il cambiamento va accompagnato. Dobbiamo, come docenti, lasciarci interrogare dalla ricerca sull’apprendimento. Che cosa ci dice la ricerca? Quali ambienti favoriscono l’apprendimento e quali aspetti lo ostacolano? Ci possiamo affidare alle ricerche di Indire o quelle dell’EBL (Cfr SApIE) che tanto hanno da dire sulle molteplici sfaccettature del nostro “fare scuola”. Dall’importanza del progettare gli interventi con obiettivi chiari e verificabili, al feedback, all’intelligenza emotiva (Cfr D. Goleman – P. Senge, A scuola di futuro, Rizzoli, 2016), alle evidenze sulle azioni del docente e degli alunni, ecc…
Al termine di questa riflessione possiamo riassumere quanto detto in questo modo: l’obiettivo del progetto Scuola 4.0 è realizzare la scuola del futuro prossimo attraverso la creazione di ambienti di apprendimento innovativi integrati con dispositivi digitali.
Gli step per attuarlo sono due:
- la progettazione condivisa tra tutti i docenti
- l’attenzione al mondo della ricerca e della formazione per un cambiamento davvero significativo.
Insomma, non resta che augurarci buon lavoro e buona innovazione!