Pubblicato su Contexto il 3 aprile 2002
Salone delle tecnologie per l’educazione. La nostra inviata ci racconta che cosa traspare della situazione italiana: abbiamo davvero la cultura necessaria per sapere come usare le nuove tecnologie nel mondo della conoscenza?
La fiera che si è svolta a Genova dal 27 febbraio al 1 marzo, organizzata dall’ITD di Genova (in collaborazione con l’AICA) del CNR di Genova e il MIUR, ha sicuramente tutti i numeri per essere considerata un grande evento: il 40% di espositori e il 30% di visitatori in più rispetto all’edizione 2001, presenti i grandi nomi dell’editoria didattica e della produzione di software didattico e aziendale, grandi istituzioni dell’educazione in Italia e docenti universitari tra i più autorevoli del settore. Un evento che prometteva di essere “un evento integrato: fiera interattiva, convegno scientifico, spazio web”. L’intento era quello di fare incontrare le realtà della ricerca, quasi sempre condotta in ambito universitario, con quella della pratica quotidiana nelle scuole.
Protagonisti e principale target della fiera sono gli insegnanti, per lo più proveniente dalle scuole dell’obbligo, che si dividono in due categorie:
da una parte gli insegnanti-visitatori che si aggirano con un’aria di rassegnata ineluttabilità di chi vede attraverso la noia a lezione nei propri alunni svezzati ad interattive tecnologie informatiche digitali che niente sarà più lo stesso
dall’altra gli insegnanti che al TED sono andati per presentare e condividere le proprie esperienze con le nuove tecnologie applicate ai loro corsi di lingue straniere, scienze, geografia (queste le materie più gettonate nei progetti presentati): docenti-pionieri, motivati, appassionati, aggiornati e in qualche modo “diversi” ed originali.
Gli interventi
Il fatto che le nuove tecnologie didattiche, anche quando vengono timidamente introdotte nelle scuole, non riescano ad uscire dalla condizione di eccezionalità e di separazione rappresenta una delle difficoltà principali al momento secondo Roberto Maragliano, docente di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento presso l’Università di Roma3, che si trova a dover ammettere che la situazione rispetto all’edizione 2001 non sia poi molto cambiata.
Domenico Parisi, autore di “Scuol@”, afferma sconsolato che il nuovo tipo di apprendimento, per come è implementato allo stato attuale in Italia, rappresenta semplicemente “more of the same”: l’educazione è al 90% ancora basato sul linguaggio, che sia scritto, orale o online poco cambia. Il web è visto come un grande contenitore di qualsiasi informazione si desideri e un modo per condividere contenuti, trascurando completamente il potenziale e totale cambiamento di paradigma da un apprendimento verticale, bidirezionale ad uno collaborativo, socializzato e multidirezionale.
La radice di questo problema va forse ricercata nella stessa percezione di tali strumenti da parte degli educatori e formatori: Internet, la multimedialità, la videoconferenza, la chat, l’e-mail, ecc., tutto sembra debba essere portato nella scuola, non importa come, l’importante è usarlo. Si tratta di strumenti così innovativi che gli stessi insegnanti non sanno (e nessuno glielo dice) come integrare nella didattica tradizionale e li confinano ad attività ristrette a quel paio di ore alla settimana in cui si va nel laboratorio multimediale.
Suor Caterina Cangià invece afferma con la forza che le deriva da straordinarie esperienze che l’hanno portata a vincere premi per il suo software didattico per le lingue straniere e a pubblicare diversi libri sull’apprendimento attraverso le nuove tecnologie, che i computer vadano portati in classe in un numero di tre o quattro.
Leggi tutto l’articolo di Anna PioppiPubblicato su: