Ipermedialità e didattica: provocazioni in ordine sparso – di Marco Guastavigna

Ipermedialità e didattica: provocazioni in ordine sparso – di Marco Guastavigna
 
Cominciamo con la prima parte del titolo. Il concetto di “ipermedialità” non mi convince. Gli ho sempre preferito “oggetti ipermediali” (riferendomi ai prodotti con queste caratteristiche), oppure “dimensione ipermediale della conoscenza” (discutendo degli aspetti cognitivi implicati), oppure “espansione/espansibilità ipermediale di un campo di conoscenza” (parlando della progettazione e della realizzazione di un “oggetto ipermediale”).  “Ipermedialità” è un concetto vago (per quanto mi sforzi non riesco a definirlo), troppo ampio, e soprattutto centrato fondamentalmente da una parte sugli aspetti tecnologici, dall’altra sull’idea sempre meno convincente di una rottura epistemologica di fondo tra vecchie e nuove TIC, tra te­stualità e ipertestualità, tra libro e rete, e dall’altra ancora su iperboliche promesse pedagogiche e didattiche, per quel che mi risulta mai mantenute. Tutte queste prospettive si sono portate dietro un’idea di soluzione di continuità – nella progettazione didattica, nella realizzazione dei percorsi formativi, perfino nella organizzazione degli spazi a scuola – che anziché generare capacità critica, evoluzione e integrazione ha dato vita a sudditanza tecnocentrica, separazione e pseudospecializza­zione ed infine a una palese involuzione. Si vedano i percorsi formativi di tipo A del progetto For-Tic: moduli di addestramento alle pratiche tecnologiche dell’EDCL spacciate per competenze, spes­so stancamente condotti da tutor-badanti, la cui sola preoccupazione (e capacità formativa, ahimé) è risolvere i problemi di utilizzo tecnico del cd e della rete internet sofferti dai corsisti. Credo che ci sia bisogno di uno scossone. Dobbiamo uscire da questa visione “ingenua” e palinge­netica delle TIC e in particolare della potenziale dimensione ipermediale della conoscenza per pro­cedere verso una fase nuova, segnata dalla ricerca della continuità e dell’integrazione tra tutti gli strumenti di apprendimento, occupandoci in modo serio e non miracolistico dei processi cognitivi a carico dei soggetti impegnati all’uso delle TIC stesse.  Da questo punto di vista penso che la priorità sia l’acquisizione di competenze di lettura critica della rete internet:  “l’impiego a scuola di Internet, in quanto “iper-testo degli iper-testi” deve sollecitare tutti coloro che sono interessati ai processi educativi a porsi finalità che vadano ben oltre all’idea quanto mai riduttiva di insegnare genericamente le manovre necessarie a “navigare”. Accedere alla rete, infatti, vuol dire in primo luogo avere a disposizione, sulla “porta di scuola”, un territorio cul­turale immenso, su cui realizzare ricerche rese significative dalla quantità e  dalla qualità del mate­riale reperito e dalla forma organizzativa assegnatagli, non certo dalla serie di operazioni impiegate per trovarlo. In secondo luogo, ed è ciò che come detto interessa di più la nostra prospettiva, signifi­ca rapportarsi con un’organizzazione comunicativa costantemente iper-testuale, che assume l’impianto reticolare che costituisce l’alimento essenziale dell’elaborazione intellettuale e culturale come matrice non solo esplicitata, ma anche costante e pertanto fondante e condizionante gli “atti di lettura” condotti dai soggetti che le si accostano e vi si muovono con la mente.
Possiamo fare pertanto a una prima importante considerazione: proponendosi quale struttura co­struita e fruibile sulla base soprattutto di competenze di connessione, ogni insieme informativo iper­testuale, e quindi a maggior ragione Internet, mette il “navigatore-lettore”  nella condizione di poter moltiplicare percorsi e prospettive di fruizione in una misura ben più ampia e ricca di quella offerte dalle tecnologie tradizionali, i libri.  Non dobbiamo però dimenticare un altro effetto dell’iper-testualità: ogni “navigatore-lettore” è chiamato a affrontare una situazione comunicativa decisamente complessa. Gli viene richiesto infat­ti di impiegare consapevolmente una strategia di comprensione, di definizione e verifica della rotta, stabilmente basata sulle sue capacità associative  e deduttive. Il modo in cui va a configurarsi l’“atto di navigazione-lettura”, insomma, ben asseconda le esigenze di trasversalità, fluidità e mobilità necessarie alla costruzione della conoscenza, ma allo stesso tem­po, per essere davvero efficace, prevede ricorrenti procedure di analisi, valutazione, convalida, non solo delle unità informative via via raggiunte, ma anche delle strutture progressivamente generate.
Il “lettore iper-testuale” – il lettore di Internet – potrà pertanto apprezzare l’euristica della scoperta, ma avrà costantemente a proprio carico la ricostruzione dell’insieme, ossia dei sensi e dei significati delle connessioni innescate. All’evidente rafforzamento dato agli strumenti di lettura dalla “navi­gazione”, dovrà in fin dei conti corrispondere un altrettanto evidente potenziamento delle competen­ze del lettore. Sono convinto che potersi misurare a scuola – il luogo dell’apprendimento guidato -con la naviga-zione-lettura di Internet possa essere molto vantaggioso sul piano cognitivo per gli allievi e che vo­ler rispondere a queste esigenze educative di carattere globale possa essere uno dei metodi più effi­caci che l’istituzione scolastica può adottare per esercitare una mediazione culturale tra le genera­zioni veramente qualificata e adeguata all’evoluzione socioculturale. Come già accennato, penso che gli ambienti per la realizzazione di mappe concettuali possano esse­re un buon aiuto per gli insegnanti di fronte ai problemi posti dalla dimensione linguistica di attività didattiche in rapporto con le attuali tecnologie di comunicazione.”1
2. dobbiamo superare l’empirismo e il microconfronto. In questo periodo è in corso il “Piano na­zionale di formazione delle competenze tecnologiche e informatiche del personale docente”, il già citato ForTic. Uno degli strumenti per la formazione sono i forum. Non sempre è così (ci sono an­che interventi di ben altro spessore), ma sono numerosissimi i corsisti di tipo B (ovvero figure pro­fessionali destinate a esercitare nella loro scuola una funzione di consulenza di tipo generale) che chiedono ai colleghi opinioni sul sito web della scuola, sulla presentazione appena realizzata sul tal argomento e su altre microesperienze. Questi colleghi, non per colpa loro, sembrano essere sempre all’anno 0, quello in cui si comincia un lento cammino di avvicinamento alle pratiche tecnologiche, ma soprattutto quello in cui si dipende dal giudizio degli altri (considerati “più esperti”, senza mai dire in che cosa) per validare i prodotti del proprio lavoro. Questo a fronte di un dibattito globale sull’uso delle tecnologie digitali che ha elaborato invece, per quel che riguarda (ahimé, ed è il se­condo!) soprattutto ciò che è fuori dalla scuola, concetti come l’accessibilità, l’usabilità (mi riferi­sco in particolare a Jacob Nielsen –www.useit.com) o linee guida per la scrittura sul web (cfr. p.e. http://www.mestierediscrivere.com/testi/web.htm). Accanto a questa situazione vi è quella di coloro che, navigando su internet, preferiscono affidare le loro esigenze informative al messaggio in botti­glia (la richiesta genericamente indirizzata di nuovo ai colleghi), piuttosto che al rilevamento satelli­tare (motori di ricerca): tipico esempio sono coloro che chiedono dove sia un certo software che sanno scaricabile dalla rete, anziché servirsi della possibilità di mettere in un qualsiasi motore le pa-role-chiave “download nome-del-programma”. Questi comportamenti non hanno più senso, non ap­partengono a una saggia politica dei piccoli passi, ma sono piuttosto un inutile ripercorrere cammini già noti, per i quali sono state pensate e ingegnerizzate scorciatoie: sull’usabilità esistono, udite, u­dite!, perfino dei libri, mentre i motori di ricerca cercano di rendere più facile la vita all’utente, of­frendo maschere per la ricerca avanzata in cui la logica booleana è a carico del sistema, oppure ad­dirittura la possibilità di combinare la classica ricerca per parole-chiave con il “clustering” – costru­zione dinamica di sottoraggruppamenti all’interno dell’insieme della pagine ottenute con la ricerca semplice – cfr. http://www.vivisimo.com . Insomma, gli strumenti per una visione strategica e di al­to livello ci sono.
3. dobbiamo abbandonare l’idea che la competenza all’uso didattico delle TIC coincida con la pra­tica. Mi riferisco di nuovo a ForTic: è frequente la lamentela sul fatto che anziché “cose pratiche” si faccia teoria (ovvero, anziché imparare e approfondire programmi si discuta di aspetti cognitivi, pe­dagogici, didattici; anziché magnificare le sorti progressive delle TIC si chieda un contributo critico sulla praticabilità delle ipotesi, sugli effettivi risultati dei progetti realizzati). È questa una visione miope, che va perennemente alla ricerca dell’ultimo software, del programma più potente e così via, senza mai soffermarsi sul senso e sul significato autentico della loro applicazione. 
 
1 Guastavigna M, “Mappe per la rete”, Italiano&Oltre, 1/2002
Accanto alla miopia è evidente l’impostazione deterministica: data una certa tecnologia, il suo inse­rimento causerà certamente una serie predefinita di conseguenze. Poiché questo non avviene quasi mai, per lo meno nella misura attesa, ecco pronto l’alibi: “Il problema sono le resistenze dei colleghi all’introduzione del computer”. Devo dire che parteggio sempre più per questi “resistenti”: mi pare che esprimano un’esigenza imprescindibile, ovvero un bisogno di senso. A loro va data una rispo­sta: quali sono gli autentici valori aggiunti dell’introduzione delle TIC nelle attività cognitive relati­ve ai campi di conoscenza la cui esplorazione propedeutica o il cui consolidamento specialistico so­no compito della scuola? Su questo io stesso ho solo risposte parziali, ma credo sia il punto fonda­mentale.
4. dobbiamo smettere di illuderci: non avremo mai un pc per ogni studente, e nemmeno uno ogni due allievi. A scuola non saremo mai nella condizione di far svolgere in modo significativo attività coinvolgenti tutti gli ambiti e contemporaneamente tutti gli studenti, ovvero tale da influire in modo massiccio su tutti i processi di apprendimento. Non possiamo di conseguenza continuare a ragionare in modo astratto e indifferenziato. Ogni ciclo scolastico, ogni singola scuola, definiti quali possono essere i valori aggiunti di cui al punto precedente, deve avere la capacità di definire le sue priorità e di operare scelte. Nei laboratori andranno le tali classi, i tali allievi, si svolgeranno certe attività, magari a rotazione. È ora di cominciare a pensare in termini di fattibilità. Accanto a ciò sono ipotizzabili due scenari interessanti:
a. la connessione a Internet di ogni aula;
b. la valorizzazione delle risorse tecnologiche che molti allievi hanno disponibili. Le conseguenze del primo sono evidenti: si disporrà in classe di una finestra sulle risorse culturali a distanza, a cui attingere quando servono, integrandole nelle attività e nelle ricerche ordinarie della classe; all’insegnante verrà chiesto di effettuare soprattutto mediazione culturale: quindi far impara­re non come utilizzare un motore di ricerca, ma come valicare e selezionare le risorse trovate. Il secondo richiama ancora una volta il tema del senso: compito della scuola non è addestrare alle tecnologie, ma orientare l’apprendimento empirico che molti allievi hanno realizzato per conto loro con compiti significativi e con verifiche dei risultati.