Internet è il più strepitoso mezzo di comunicazione che sia mai esistito e oggi la legge sulla proprietà intellettuale è la più restrittiva che sia mai esistita. Chi ha paura delle idee in circolazione? Chi sono i nuovi nemici della libertà?
Ne ha parlato per la prima volta in Italia – invitato al Lingotto di Torino al convegno sulla «Conoscenza come bene pubblico comune» organizzato settimana scorsa dal Csi Piemonte – Lawrence Lessig, autore di «The future of ideas» (il futuro delle idee), professore di legge alla Stanford University, massimo esperto mondiale per gli aspetti giuridici della tutela e della condivisione della conoscenza in Rete: cioè gli aspetti giuridici che definiscono la nostra libertà, la nostra democrazia e, soprattutto, la libera circolazione delle idee.
«Siamo passati da una società libera a una società feudale, c’è un allarmante ritorno al maccartismo in America» è l’allarme di Lessig. «Così come McCarthy negli anni ‘50 – sostenuto dal clima internazionale di guerra fredda tra Usa e Urss – condusse una assurda guerra terroristica contro le streghe comuniste negli Usa, oggi McCarthy è tal Lois Boland che – sostenuto dagli interessi di potenti lobby multinazionali (gli imperi dei media guidati da Hollywood e dalle major discografiche) che si sentono minacciate da Internet – conduce una guerra a tutto campo in nome della proprietà intellettuale e del diritto d’autore, regolamentando tutto oltre ogni limite di ragionevolezza.
Un esempio paradossale? Un ragazzo ha pubblicato su Internet le istruzioni per insegnare ad Aibo, il cagnolino-robot della Sony, a ballare il jazz (il sito è www.aibopet.com). Ora: nella vita civile di un paese libero e democratico, non è vietato ballare e non è vietato il jazz. Eppure, grazie alle nuove leggi restrittive passate dagli Usa, che – ricordiamolo! – furono fondati da pirati che cercavano la libertà, il ragazzo è stato diffidato dalla Sony per pirateria.
Ha senso vietare di modificare una tecnologia di per sé, anche se non si danneggia nessuno? Ha senso che qualsiasi utilizzo di «proprietà intellettuale» sia illegale, che sia sempre necessario chiedere il permesso? La società libera è basata sull’idea esattamente opposta: che tutto è permesso, tranne ciò che è proibito. Il pubblico dominio è un patrimonio comune da difendere e il bene pubblico dovrebbe essere una risorsa a disposizione di tutti, purchè nessuno la consumi privandone gli altri.
Certo, il valore del «copyright» è cambiato con l’arrivo del Web. Nell’era digitale, autori ed editori vogliono difendersi da un incubo: che il numero delle copie delle loro opere vendute o cedute sotto licenza su Internet sia uno. Il loro problema è economico, di modello di business che viene messo in discussione con le nuove tecnologie. La guerra scatenata dalle nuove leggi restrittive, d’altro canto, sta diventando l’incubo degli utenti-consumatori: che il tentativo di preservare il mercato conduca a protezioni tecniche e legali tali da ridurre drammaticamente l’accesso al patrimonio intellettuale e culturale della società. Altro che beni pubblici: qui è in atto la privatizzazione delle idee.
«Ci deve essere nella nostra vita culturale una zona libera dai cavilli legali che, alla fine, riempiono solo le tasche degli avvocati» sostiene Lessig, che è – peraltro – un avvocato (opera con la Electronic Frontiers Foundation, eff.org, che difende i diritti degli utenti elettronici). L’ultima sua causa, quella del caso noto come «Eldred vs. Hashcroft», in cui difendeva il programmatore Eric Eldred contro la Walt Disney, l’ha persa. «Abbiamo perso perché la Corte ha giudicato non a favore dei princìpi costituzionali, ma a favore di chi aveva più soldi» accusa. McCarthy non ha mai avuto i finanziamenti che hanno i difensori della proprietà intellettuale, sottolinea Lessig: per questo è difficile battere il nuovo maccartismo americano.
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Pubblicato su: La Stampalunedì 24 novembre